VILLA ALDINI: COME CERCARE DI FARE CASSA ALIENANDO IL PATRIMONIO PUBBLICO
mercoledì 16 luglio 2014
LA MADONNA DEL MONTE
La rotonda della Madonna del Monte a
Villa Aldini
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Gabriella Bernardi
Funzionario Conservatore - Area Arte Antica
Museo Civico Medievale
Comune di Bologna
Museo Civico Medievale
Comune di Bologna
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Come narra il giureconsulto
bolognese Graziolo Accarisi in una cronaca del 1465, la fondazione della
rotonda intitolata alla Madonna del Monte (figg. 1-2), è legata al nome di
Picciola Galluzzi vedova Piatesi che, nel 1116, volendosi ritirare a vita
eremitica fece costruire un oratorio sul monte detto di san Benedetto (ora
dell'Osservanza). Durante i lavori di realizzazione apparve una colomba che,
presi dei pezzetti di legno dal cantiere, li portò presso il colle vicino,
tracciando un perimetro circolare sul terreno. Avvisato il vescovo della città
e sentiti i pareri di alcuni esponenti ecclesiatici, fu deciso per volontà
Divina, di realizzare in quel luogo una costruzione rotonda chiamata appunto
Madonna del Monte. Va detto, infatti, che ad un eremita interpellato circa
l'episodio suddetto, gli apparve un angelo secondo cui doveva essere eretta una
chiesa della forma suggerita dalla colomba.
Tale affascinante leggenda
è ormai entrata a far parte dell'immaginario della cultura popolare bolognese;
di fatto la data indicata da Accarisi risulta, a gran parte degli
specialisti, troppo precoce per quel
tipo di struttura architettonica e per gli affreschi in essa presenti. Dalle
fonti, emerge che agli inizi del XIII secolo è presente presso la Madonna del
Monte, una comunità di monaci benedettini e che una cappella omonima si trovava
sotto la giurisdizione dell'abbazia dei Santi Naborre e Felice di Bologna
appartenente allo stesso ordine, poi affiliate entrambe, nel 1431, a S. Procolo.
La rotonda faceva dunque
parte di un complesso ben più ampio di ciò che rimane oggi; com'è noto, verso i primi anni
dell'Ottocento, in seguito alle soppressioni napoleoniche (1798-1808), il
monastero benedettino qui presente (fig. 3), venne distrutto per lasciare il
posto alla neoclassica villa, tuttora visibile, realizzata per volere
dell'allora Segretario di Stato del Regno d'Italia, l'avvocato Antonio Aldini. L'unica
struttura sopravvissuta e successivamente inglobata nella villa, nonchè
rivestita al suo interno da carta da parati, fu proprio la chiesa della Madonna
del Monte. Essa, che in quella circostanza venne destinata a sala da musica,
subì tuttavia già diverse trasformazioni nei secoli precedenti, complice
probabilmente, la notorietà del luogo legata ad alcuni eventi che determinarono
un consistente flusso di fedeli. A tal proposito, va ricordata, la processione
del 14 agosto che si tenne a partire dal 1443, come ringraziamento alla Vergine
per la vittoria di Annibale I Bentivoglio (Bologna, 1413-1445) sui Visconti
nella battaglia di San Giorgio di Piano e, la conseguente realizzazione di una
nuova cappella e di un atrio, la prima a levante e il secondo a ponente della
antica Rotonda. Una preziosa testimonianza della processione su
citata, la cosiddetta 'Cavalcata alla
Madonna del Monte', ci viene restituita da un acquerello su pergamena,
realizzato nel 1624, ora visibile presso le Collezioni Comunali d'Arte di
Bologna (inv. G 40). Il corteo partiva da San Petronio e percorreva la tortuosa
via della Mela, la quale si svolgeva, come riportato da Accarisi, nella valle
sotto la villa Baruzziana e attraverso i terreni Marescalchi, raggiungeva la Madonna
del Monte. Nel 1660, via della Mela fu sostituita dalla più comoda e tuttora
percorribile via dell'Osservanza, progettata dall'architetto Paolo Canali.
Che nel medioevo la chiesa di Santa Maria del Monte
fosse un luogo di particolare importanza spirituale, è anche testimoniato dalla
presenza, al suo interno, di due tavole dipinte realizzate da Simone di Filippo (o dei Crocifissi) (Bologna,
1330 ca.-1399). Si tratta della Madonna della Vittoria (1360 ca.),
attualmente conservata presso la Chiesa di San Salvatore (fig. 4) e la Madonna
col Bambino (1378 ca.), ora esposta nelle sale della Pinacoteca Nazionale
della città.
Nel 1450, l'allora
cardinale legato di Bologna, il potente Basilio Bessarione (Trebisonda
1408-Ravenna 1472) commissionò la costruzione, a sud della chiesa, di una
grande cappella dedicata a san Benedetto dove, qualche anno più tardi, nel
1455, fu realizzato un affresco ad opera dell'artista ferrarese Galasso Galassi
(attivo tra il 1450-1488) di cui purtroppo, non rimane traccia. Sappiamo
tuttavia dalle fonti che il dipinto si trovava nella zona dell'altare e
raffigurava su due registri l'Assunzione della Vergine: in quello
inferiore, lquest'ultima giaceva sul catafalco “cum aliis figuris”, tra i quali
Eugenio IV, lo stesso Bessarione e il segretario di quest'ultimo, Niccolò
Perotti. Nel registro superiore, gli apostoli erano raffigurati con il viso
rivolto verso l'alto dove appariva la
Vergine entro una mandorla, ai piedi della quale era inginocchiato ancora una
volta Bessarione. L'opera fu distrutta verso la metà del Settecento in seguito
all'erezione di un nuovo altare. Stando ad Accarisi, anche le pareti interne e
la parte superiore della rotonda erano state dipinte 'in antichissimo tempo' da
pitture. Nelle prime, sembra fosse rappresentata l'edificazione della chiesa e
la leggenda della colomba; nella seconda, la Madonna col Bambino portata da una
nube e l'immagine (non ben identificata) del
Papa o del Legato, con la rappresentazione della città di Bologna al di
sotto. Non è noto se nel Quattrocento, ai tempi di Accarisi, le antiche pitture
fossero completate; ai primi del Seicento esse vennero però distrutte e
sostituite da affreschi realizzati dal pittore Giovanni Battista Cremonini
(Cento, 1550-1610). La nuova decorazione, determinò anche il tamponamento delle
nicchie con le pitture romaniche in esse presenti, di cui oggi rimangono le
figure frammentarie di apostoli (fig. 5). Cremonini realizzò un finto colonnato
che divideva la parete circolare interna della chiesa in otto parti; tra una
colonna e l'altra, si svolgeva un ciclo narrativo legato alla leggenda della
colomba. Anche di tali affreschi, non rimane traccia.
La chiesa della Madonna del
Monte fu oggetto di restauri tra il 1938-39 eseguiti da Guido Zucchini (fig.
6), a cui va il merito di aver riportato alla luce le murature interne
originarie della struttura medievale con i suoi dipinti murali. Questi ultimi,
ed è importante sottolinearlo, costituiscono un unicum nel panorama
artistico bolognese, sia per la loro particolare struttura che li lega, di
fatto, al sistema architettonico d'insieme e ci permette quindi una visione
ancora in situ, sia per l'iconografia. Le figure di apostoli stanti che
vediamo nelle nicchie (fig. 7), facevano probabilmente parte di un ciclo ben
più vasto, del quale non rimane documentazione; in merito dunque, si possono
formulare solo delle ipotesi. E' verosimile pensare che la pittura ad affresco
fosse estesa anche alla zona absidale (est), ricostruita arbitrariamente da
Zucchini con tre nicchie. La presenza di un lacerto pittorico raffigurante il
volto della Vergine (fig. 8) ha fatto pensare che nella primitiva abside, fosse
presente la Vergine con il Bambino, secondo la tipologia greca della Hodigitria
(Colei che indica la Via). Tale frammento, tuttora visibile in una nicchia
nei pressi dell'altare, alterato da ridipinture effettuate ad una data
imprecisata, comprende uno strato di muratura e si presenta concavo. Ciò ha
fatto pensare ad un supporto architettonico simile ad una nicchia piuttosto che
ad una calotta absidale. In tempi recenti, è stata avanzata l'ipotesi secondo
cui il programma decorativo si completava con la raffigurazione di una Deesis
(Preghiera), con Cristo nella nicchia centrale dell'abside, la Vergine in
quella di destra e san Giovanni Battista
in quella di sinistra. Gli affreschi
sono stati assegnati da gran parte degli studiosi al XII secolo, anche se non
si esclude la possibilità, come suggerisce Carlo Bertelli, di una loro
attribuzione successiva. L'ipotesi di Bertelli è stata però messa in dubbio
dagli ultimi studi di Daniele Benati, il quale «per il severo intento
espressivo, affidato agli sguardi e ai parchi gesti, e il modo di condurre
l'affresco, in trasparenza su una stesura a calce», data le pitture alla fine del XII secolo.
Va detto per altro, che
ulteriori dipinti murali, frammentari, di notevole qualità, sono addossati ad
una parete esterna della Rotonda. Si tratta delle figure di Sant'Antonio e di
San Giovanni Battista, realizzati verosimilmente verso l'inizio del XIV secolo.
A partire dal 2009 la gestione della Rotonda della Madonna del
Monte è stata affidata alla Direzione dei Musei Civici d'Arte Antica del Comune
di Bologna.
Una recente convenzione
stipulata fra il Touring Club Italiano e il Comune di Bologna, direi unica,
volta a favorire la promozione e la fruibilità di alcune istituzioni culturali
presenti nella città, ha reso possibile grazie al supporto di volontari,
l'apertura della Rotonda al pubblico e agevolato una serie di visite guidate a
partire dalla primavera 2010.
Va inoltre ricordato, il
prezioso contributo del FAI (Fondo Ambiente Italiano) che, durante la 18ª
Giornata di Primavera (27-28 marzo 2010), ha segnalato la presenza di 3400
visitatori presso la Rotonda del Monte e Villa Aldini.
Purtroppo l'edificio,
dipinti compresi, versa in condizioni conservative non buone, aggravate anche
dal drammatico stato di degrado in cui si trova l'intero complesso di Villa
Aldini. In attesa di sottoscrivere nuovamente la convenzione con il Touring
Club Italiano, la rotonda è aperta solo in occasioni straordinarie.
Gabriella Bernardi
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VILLA ALDINI E LA SALVAGUARDIA DI UN EDIFICIO NEOCLASSICO
Villa Aldini e
la salvaguardia
di un edificio neoclassico nel XIX secolo
di un edificio neoclassico nel XIX secolo
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Francesco Ceccarelli
Professore di Storia dell'Architettura
Università di Bologna
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Villa
Aldini, pur sotto agli occhi distratti dei bolognesi, è un monumento di
primaria importanza nella storia della città, testimone di uno dei periodi più
controversi della nostra modernità e delle trasformazioni, davvero
rivoluzionarie, che la città attraversò durante gli anni napoleonici.
E’una
rivoluzione urbana silenziosa quella di primo Ottocento, ma che tuttavia agisce
in profondità. Che agisce nel dna di Bologna, non nel suo patrimonio genetico,
ma piuttosto nel suo patrimonio immobiliare. Introducendo nuovi modi di abitare
e di vivere.
Sono
gli anni in cui chiese e conventi vengono espropriati, incamerati dallo stato,
messi all’asta e venduti. Gli anni della grande redistribuzione del patrimonio
della chiesa, della prima grande opera di secolarizzazione.
E’così
che i monasteri collinari finiscono in mani private e cambiano funzioni, ritmi
di vita, culture. E’così che nascono le nuove ville suburbane piccole e grandi,
casini di delizia, vigne da diporto, orti per diletto.
Nasce
insomma la nuova collina post religiosa e neo borghese .
Dopo
Napoleone, quella che per secoli era stata una sacra corona di monti e
monticelli solcati da antichi sentieri di preghiera nel segno della devozione
popolare, diventa il belvedere privilegiato del nuovo establishment laico e
filo francese, di una èlite che lancia la moda del vivere in pendio, circondati
dal verde e con la città sullo sfondo.
In
questa collina, ai valori panoramici si sommano presto gli artifici
architettonici. E questi creano un paesaggio del tutto nuovo, che esalta la
natura del sito, proiettando in collina storie neo classiche in forma di
acropoli padane.
E’Antonio
Aldini, segretario di stato di Napoleone, che riesce a mettere le mani sul
luogo più ambito fra tutti, il convento di Santa Maria del Monte e la sua sacra
rotonda romanica.
Sulla
vetta del Monte, Aldini sogna di fare una residenza reale. Napoleone in persona
pare avesse apprezzato la vista sconfinata, verso il Po e le Alpi che si gode
da qui.
Poi
il progetto cambia. Aldini costruisce una grandioso padiglione a belvedere che incorpora
il santuario medievale, quasi fosse un innesto forzato per sfruttare al meglio le
sue idee e lo riveste di loggiati all’antica.
Forse
l’idea di fondo è di Canova. I disegni architettonici sono quelli di Nadi e
Martinetti, che gli danno sostanza e materia. Ne risulta una costruzione neo
greca, forse la più originale residenza neo greca dell’Italia di primo
Ottocento. Un frammento dell’Attica sul primo Appennino. Per inciso: Proprio mentre Lord Elgin si appresta a
impacchettare i marmi del Partenone e a imbarcarli da Atene a Londra, sulla
collina bolognese si comincia a fabbricare con quello stesso linguaggio classico,
così chiaro ed eloquente, più ionico che dorico, il cui messaggio retorico non sarebbe
passato inosservato.
Tutti
gli intelligenti d’arte ne apprezzano subito il messaggio, ne riconoscono la
potenza visiva e si lasciano rapire dal nuovo profilo collinare, al tempo
stesso antico e regale.
Al
vertice del Monte è la villa di Aldini, poi, lungo la costa, oltre il suo giardino,
si coglie il senso profondo del nuovo insediamento che riflette la piramide
sociale, nella scala gerarchica che va dai potenti governanti napoleonici ai nuovi
cittadini comuni. E’una moda che contagia, una febbre del paesaggio, una
ricerca del Parnaso, poco importa se reale o mitizzato.
Anche
gli artisti scelgono di abitare in questo piccolo Eden. Letterati come Costa,
scultori come Baruzzi costruiscono le loro case sempre qui e ne curano i
giardini e gli orti. E cominciano a proteggerne i confini e l’ambiente, con
tutte le sue memorie e delizie.
E
così nasce una prima tutela.
E’molto
significativo, e anche troppo poco conosciuto, quel che accade nel 1833. Aldini
è tramontato dopo il tracollo napoleonico e un certo Bignami ha comperato la
villa. Privo di scrupoli, decide di demolirla, per far soldi vendendo i mattoni
e i legnami. Una mossa infelice. Bologna insorge indignata e protesta. La
collina non si tocca e tantomeno le sue nuove architetture, modernamente
antiche.
Accade
l’impensabile. La commissione pontificia di Belle Arti a Roma blocca lo scempio
e impone un vincolo. La decisione è presa da artisti sapienti come Thorvaldsen,
Camuccini e Valadier e approvata dal pontefice. La cosa è seria. Quella su
Villa Aldini è forse la prima legge di tutela moderna su di un edificio
contemporaneo. Si vincola l’edificio, la sua qualità indiscutibile, e il
paesaggio circostante, che da lei trae valore. Il dato è stupefacente, se solo
si pensa che è la chiesa a proteggere un edificio ultra laico che si era sostituito
a un tempio venerabile. Tanto che scampa alla distruzione anche il timpano di
De Maria, con le splendide, ma imbarazzanti gesta di uno Zeus che tutti ancora
leggono come un Bonaparte trionfante.
Alla
fine vincono tutti. E soprattutto i bolognesi, perché nel decreto si introduce
anche il principio che in caso di vendita della villa sia la città, per prima,
ad avere la prelazione su di essa.
E
Bologna guadagnerà effettivamente la Villa, qualche tempo più tardi,
recuperandone anche il giardino, che si proietta a valle, fin quasi ai viali.
Sembra
un lieto fine, ma non è così. Per oltre un secolo Villa Aldini, finalmente
pubblica, resta quasi deserta o male impiegata. Si deteriora e si consuma il
suo destino, che è anche un declino, in una città che sembra distratta da altre
forme della modernità. Paradossale. E’di fronte agli occhi di tutti, lassù in
alto, come notava Stendhal, ma nessuno la vede più.
Eppure
la collina, la moderna collina, possiamo ben dire che nasce con lei. E lei, non è forse l’icona in cui la collina
si specchia?
E
allora, proviamo a risvegliare la villa. Senz’altro è il migliore servizio che
possiamo fare per riscoprire assieme a lei l’ambiente che la circonda e
continuare a conservarne il paesaggio unico in cui è inserita.
Francesco
Ceccarelli
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